L’educazione ambientale interessa tutte le aree del sapere in modo trasversale ed integrato. In tale ottica sistemica, abbiamo elaborato un progetto educativo che si è arricchito dei contributi della psicopedagogia ambientale, della psicologia evolutiva, dell’educazione alla salute e alla legalità, dell’urbanistica. Questo approccio integrato ha dato vita al metodo denominato Psicopedagogia del rischio ambientale.
La necessità di una nuova metodologia è sorta dalla constatazione che l’orientamento pedagogico tradizionale può essere riduttivo ed in alcuni casi controproducente: non di rado progetti di educazione alla sicurezza seguono una visione allarmistica e si traducono nella proposta di apprendimenti nozionistici degli eventi naturali, della sicurezza negli ambienti di vita e del comportamento da attuare a livello preventivo.
È fondamentale avere la possibilità di controllare i rischi ambientali attraverso la conoscenza degli stessi e l’intervento preventivo, del quale ognuno può farsi promotore. È importante che le persone siano consapevoli dei rischi ambientali al fine di aumentare le loro competenze di autonomia, autoprotezione, responsabilizzazione. Per far ciò, occorre tener conto delle variabili affettive, cognitivo-comportamentali, psicomotorie e sociali, che rappresentano gli aspetti cardine del rapporto dell’individuo con l’ambiente e che pertanto sono al centro del nostro modello di prevenzione.
La capacità di un sistema di affrontare correttamente una situazione di emergenza dipende non solo dalla preparazione dell’ambiente, ma soprattutto da quella degli individui. La capacità di una persona di portarsi nel minor tempo possibile in un luogo sicuro non dipende esclusivamente né dallo stato dell’edificio (con i suoi piani d’evacuazione, segnaletica, uscite di sicurezza funzionanti) né dalle proprie risorse, ma anche e soprattutto dalla preparazione collettiva di tutti coloro che frequentano quell’ambiente. È quindi fondamentale prevedere attività formative e informative di preparazione all’emergenza.
Le morti e i ferimenti in caso d’emergenza sono causati prevalentemente proprio da comportamenti scorretti: quando le persone non sono preparate, non riuscendo a mantenere il controllo, corrono e si accalcano, di fatto impedendo a se stessi e agli altri di mettersi in salvo. Primo responsabile di questi comportamenti è il panico, che ostacola l’adeguata organizzazione del pensiero e dell’azione. Se la paura è un’emozione fondamentale per l’essere umano (in quanto permette di reagire a stimoli minacciosi e di attuare strategie per la sopravvivenza), il panico può essere considerato una sua degenerazione in comportamenti che non hanno più una funzione difensiva e possono causare ulteriori rischi. È indispensabile che ognuno conosca tali reazioni per poterle gestire adeguatamente.
Il Centro Alfredo Rampi, su invito del Dipartimento Nazionale della Protezione Civile, ha effettuato e continua ad effettuare numerosi interventi di educazione alla gestione emotiva nelle emergenze nelle scuole del territorio laziale. Questi interventi intendono promuovere la consapevolezza delle emozioni che insorgono in situazioni d’emergenza per sottolineare quanto un buon riconoscimento e una buona padronanza di queste emozioni rappresentino uno dei fattori più importanti per la prevenzione degli incidenti. Inoltre, attraverso l’organizzazione di esercitazioni di evacuazione degli edifici scolastici s’intende superare l’attuale pratica demotivante e banalizzante con cui solitamente vengono proposte queste attività, per un percorso educativo capace di motivare gli studenti, al fine di rafforzare le possibilità di un controllo razionale efficace dei sentimenti di impotenza e rassegnazione che l’emergenza attiva.
Al termine dei seminari e delle esercitazioni gli studenti hanno maggiori competenze per organizzarsi efficacemente, poiché conoscono le risposte psico-motorie da attuare, imparano a predisporre adeguatamente il gruppo-classe a fronteggiare l’emergenza e sono allenati a lasciare la scuola in condizioni di sicurezza nel minor tempo possibile.
Bambini e adolescenti hanno con la strada un rapporto diverso di quello degli automobilisti: un rapporto centrato sul bisogno di vivere la strada come ambiente di vita e non semplicemente come luogo di passaggio. È necessario realizzare circuiti integrati sicuri per la mobilità nel quartiere che possano permettere ai ragazzi di uscire dai diversi “ghetti” in cui sono costretti (il “ghetto scuola”, il “ghetto casa”, i “ghetti corsi specializzati” ecc.) per poter ritrovare un senso di appartenenza all’ambiente in cui vivono. Nel rispetto di ciò, i nostri progetti di educazione stradale vedono i bambini e i ragazzi come soggetti capaci di migliorare la vivibilità dei quartieri.
Siamo convinti che un sano approccio al concetto di pericolo non si debba fondare sul terrore e sull’evitamento tout court di ogni situazione potenzialmente pericolosa, bensì debba fornire gli strumenti per evitare e/o gestire i pericoli, dopo averne preso consapevolezza attraverso l’esperienza. I principali obiettivi degli interventi consistono nel fornire le nozioni base di educazione stradale, nella presa di coscienza e di responsabilità rispetto ai rischi stradali, nella riappropriazione del territorio, nella conoscenza delle tecniche di prevenzione dei rischi.
La figura dello psicologo (specializzato in psicopedagogia del rischio ambientale) è particolarmente indicata in quanto capace di realizzare interventi non semplicemente normativi, ma psicoeducativi: educazione stradale significa non solo equipaggiare i ragazzi di strumenti per decifrare la segnaletica stradale e muoversi in sicurezza, ma anche sviluppare una mentalità della prevenzione, un atteggiamento profondo nei confronti del rischio, consapevole anche delle motivazioni che possono spingere a correre rischi inutili. Il tutto realizzato attraverso attività ludiche, lavori di gruppo, simulazioni e uscite nel quartiere (ad es., attività di mappatura dei rischi o di creazione di segnaletica speciale).
Un terzo degli incidenti stradali colpisce gli adolescenti; la maggior parte dei ragazzi coinvolti in un incidente ripete l’esperienza, come a segnalare difficoltà evolutive o, in alcuni casi, problemi psicologici più seri. Questa fascia di età, infatti, esprime il proprio disagio proprio con comportamenti ad alto rischio sulla strada (di cui l’incidente è solo l’esito finale). L’incidente non è, dunque, un evento sempre casuale, ma a volte rappresenta una strategia inconsciamente ricercata per comunicare una difficoltà evolutiva, oppure una modalità distorta con la quale cerca di svolgere i compiti evolutivi. L’incidente, pertanto, segnala anche una difficoltà di rapporto tra il ragazzo ed il suo ambiente di vita. Il problema dell’incidente stradale è connesso ai problemi del degrado umano ed ambientale in cui versano molti adolescenti, che li rendono vulnerabili al rischio e propensi ad avere un rapporto conflittuale con l’ambiente.
La proposta educativa di prevenzione degli incidenti stradali propone una lettura del fenomeno che fa riferimento ai moderni studi della psicoanalisi dell’adolescenza applicata ai comportamenti a rischio, ed è correlata con gli interventi di educazione alla salute, di educazione alla legalità e di educazione ambientale.
Il Patto sul Rischio Accettabile (Biondo, 2006) è un percorso psicoeducativo per realizzare l’educazione stradale con adolescenti e giovani adulti. È rivolto a insegnanti, docenti delle autoscuole, psicologi, agenti di Polizia Municipale e a quanti sono coinvolti nell’educazione stradale. Le strategie d’intervento per ridurre il rischio d’incidente stradale sono particolarmente originali, poiché superano le tradizionali impostazioni normative e nozionistiche, poco efficaci con gli adolescenti. È necessario coinvolgere i ragazzi in gruppo (il gruppo-classe, i gruppi spontanei del quartiere), potente soggetto psicologico sul quale fare leva per far maturare una posizione accettabile nei confronti del rischio.
L’obiettivo educativo primario è quello di incrementare le competenze specifiche dei ragazzi per l’uso corretto del mezzo e della strada. Ciò comporta a livello affettivo lo sviluppo della fiducia nell’autonomia e della consapevolezza delle motivazioni al rischio, della sicurezza personale e della costruzione di un rapporto di fiducia con gli adulti. A livello psicomotorio, lo sviluppo delle capacità autoprotettive si realizza attraverso l’acquisizione di comportamenti di guida prudente e delle capacità per affrontare l’emergenza. A livello sociale, si mira alla responsabilizzazione nei confronti di se stessi, degli altri e dell’ambiente, all’acquisizione di un rapporto corretto con le norme e i codici, all’utilizzo corretto dello “spazio città”. A livello cognitivo, l’obiettivo è acquisire una mentalità scientifica nei confronti degli incidenti, la conoscenza del codice stradale e sviluppare processi di mentalizzazione dell’ambiente.
La proposta del Patto nasce dalla considerazione che senza una responsabilizzazione del mondo degli adulti nel campo degli incidenti stradali, non è possibile chiedere ai giovani di accettare di mettere un limite al loro bisogno di correre rischi.